Vogliamo rivendicare con orgoglio il merito di avere posto all’attenzione della politica e dei vertici dell’Amministrazione Penitenziaria la necessità di una reingegnerizzazione dell’assetto organizzativo del personale istituzionale che cura le attività di osservazione e trattamento, finalizzata a consentire allo Stato di adempiere al dovere di dare concretezza, effettività alla funzione rieducativa della pena.
Proprio al fine di perseguire tale effettività occorre restituire in concreto centralità al ruolo del Funzionario della professionalità giuridico-pedagogica, figura che nelle previsioni di lettere circolari dipartimentali emanate per dare concreta attuazione ai principi ed alle norme anche costituzionali concernenti la funzione rieducativa della pena, viene individuata quale perno centrale delle attività di osservazione a trattamento.
Rileviamo che tali previsioni allo stato attuale costituiscono “lettera morta”.
Da addetti ai lavori, che quotidianamente operano all’interno di un osservatorio privilegiato qual è l’Istituto penitenziario, abbiamo rilevato che il sistema operativo discendente dall’assetto organizzativo che si è configurato nell’ultimo decennio tradisce lo spirito del corpus normativo penitenziario.
Nei fatti sono mutati significativamente gli equilibri richiesti dal sistema esecuzione penale intramuraria, si è persa la simmetria e la parità di potere contrattuale tra i funzionari del Corpo di polizia penitenziaria ed i funzionari dell’area giuridico-pedagogica ed il risultato di tali mutamenti è la progressiva marginalizzazione della figura del funzionario della professionalità giuridico-pedagogica e la impossibilità di quest’ultimo di incidere nei processi gestionali degli Istituti penitenziari.
Nell’assetto organizzativo concreto tale funzionario è “l’anello debole della catena” e di ciò è a conoscenza anche la popolazione detenuta e le conseguenze sono facilmente intuibili.
Ovviamente sussiste uno stretto legame tra la centralità in concreto di tale figura professionale e la effettività della funzione rieducativa della pena.
Non è possibile confutare il radicale contrasto tra la dicotomia che caratterizza in atto l’assetto organizzativo riguardante gli operatori penitenziari istituzionali e le più accreditate e moderne teorie della scienza dell’organizzazione.
L’assetto organizzativo dicotomico infatti non favorisce la maturazione di un significativo senso di comune appartenenza tra il personale e consequenzialmente la circolarità della conoscenza afferente ai detenuti ed alle dinamiche penitenziarie ed ovviamente non favorisce processi dialogici tra gli operatori appartenenti ai diversi Comparti.
Può una organizzazione perseguire dignitosi standard qualitativi riguardanti gli obiettivi istituzionali senza puntare sulla circolarità della conoscenza? Proprio no.
E’ ovvio il rischio di declinare poco proficui processi di osservazione della personalità dei condannati e degli internati e programmi trattamentali non proprio individualizzati e poco efficaci.
Di non minore importanza è il rischio di rappresentare alla Magistratura di Sorveglianza esiti del percorso intramurario non corrispondenti alla realtà.
L’assetto organizzativo attuale, piuttosto che favorire l’effettività dei processi dialogici e la crescita di valore del capitale umano, spinge verso la deriva autoreferenziale; conduce all’affermazione del punto di vista di coloro che hanno maggiore forza contrattuale in concreto, rectius gli attuali appartenenti alla carriera dei funzionari del Corpo.
E’ urgente pertanto la necessità di porre le fondamenta per fare degli Istituti penitenziari delle learning organizations, delle organizzazioni di apprendimento.
E’ necessario pertanto un intervento normativo diretto a riequilibrare i due pilastri, quello della rieducazione e quello della Sicurezza; I Direttori di Istituto saranno i garanti ultimi dell’armonizzazione tra sicurezza e rieducazione.
Gli obiettivi istituzionali coinvolgono entrambi gli ordini professionali suindicati, pur esercitando i relativi appartenenti ruoli che sono e rimarranno comunque diversi ma che vanno efficacemente armonizzati.
Si rappresenta infatti che il Personale di Polizia Penitenziaria, oltre a garantire la sicurezza negli istituti ed a curare compiti riconducibili alle FF.OO. è coinvolto a pieno titolo nelle attività di osservazione e trattamento (art. 5 L. 395/90).
Da ciò discende una particolare specificità del Corpo di Polizia penitenziaria rispetto alle altre FF.OO.
Considerato quanto sopra appare pertanto anomala l’assenza, all’interno del Corpo suindicato, di un ruolo di funzionari che curino precipuamente il perseguimento della funzione rieducativa.
Il varo della proposta suindicata innescherebbe, senza dubbio alcuno, un processo di slancio per la suindicata specificità del Corpo di Polizia penitenziaria; porrà le premesse per un clima di reciproca fiducia.
Inoltre, il ponderato inserimento nel Corpo di Polizia Penitenziaria, oltre a porre le basi per lo sviluppo di un processo di funzionale osmosi culturale-professionale, consentirà già nel breve periodo l’offerta, agli attuali appartenenti al Comparto Sicurezza, di un supporto tecnico da “intranei”, punti di vista e chiavi di lettura alternative dei comportamenti dell’utenza penitenziaria che agevoleranno migliori processi gestionali degli Istituti penitenziari.
Tale strumento tecnico afferente all’assetto organizzativo, diretto a conferire maggiore effettività alla funzione rieducativa della pena, non potrebbe che avere positive refluenze anche sul processo di umanizzazione della stessa.
Dal 17.11.2020 è incardinato presso la Commissione Giustizia del Senato il d.d.l. 1754/S quale proposta diretta a ridisegnare funzionalmente l’assetto organizzativo del personale che cura le attività di osservazione e trattamento in carcere ed in direzione di un più effettivo recupero sociale dei soggetti che hanno violato il patto sociale.
Da anni attendiamo una “levata di scudi” da parte di portatori di interesse, i più vari, finalizzate a tutelare quella che fu la centralità del ruolo del funzionario dell’area trattamentale ed assistiamo financo ad ingiustificabili resistenze alla proposta suindicata da parte degli stessi, espresse attraverso “dichiarazioni manifesto” che nulla offrono quanto a minimi supportati spunti che possano far sorgere perplessità sulla fondatezza del costrutto funzionalistico posto a base della proposta incardinata presso la Commissione Giustizia del Senato.
E’ assolutamente paradossale che tali portatori di interesse difendano un sistema che si basi su un assetto organizzativo assolutamente inidoneo a perseguire lo scopo preminente della esecuzione penale, vale a dire il recupero sociale del reo.
La scrivente Associazione non mira affatto a fare dei funzionari della professionalità giuridico-pedagogica dei poliziotti ma a fare degli Istituti penitenziari delle comunità educative in cui, data l’oggettiva difficoltà a coinvolgere in percorsi di apprendimento formale elevata percentuale di condannati ed internati, attenzione significativa è prestata all’apprendimento informale; strutture penitenziarie in cui il personale istituzionale che interagisce con l’utenza offra un messaggio univoco, diretto a favorirne il recupero sociale.
Si mira a fare degli Istituti penitenziari delle comunità che producono sicurezza sociale attraverso la risocializzazione.
Nessun rischio di arretramento della funzione risocializzante rispetto alle istanze securitarie; il modello proposto invece offre l’elevata probabilità di un significativo slancio della prima.
Occorre un assetto organizzativo che imponga, tra i funzionari suindicati, da porre su un piano di equiordinazione, un coordinamento di tipo orizzontale, la collaborazione e l’interazione sinergica per affrontare adeguatamente gli eventi perturbativi della gestione intramuraria e per l’approntamento delle migliori sinergie per l’individuazione dei percorsi di recupero sociale.
La funzionalità di qualsiasi organizzazione ed a fortiori di una organizzazione come l’istituto penitenziario, che deve offrire ai soggetti che hanno violato il patto sociale un trattamento penitenziario che risponda ai particolari bisogni della personalità di ciascuno di essi, non può che fondarsi sulla conoscenza; richiede anzi fluidità della conoscenza attraverso la forma circolare della comunicazione interprofessionale e richiede, a monte, un significativo senso di comune appartenenza ed un consequenziale clima di fiducia.
L’assetto organizzativo disegnato dal ddl in argomento innescherà proprio questo circolo virtuoso.
Si verificherà infatti un trasferimento continuo del sapere tra gli operatori che assicurerà una significativa capacità di adattamento e di risposta alle perturbazioni che emergono nella vita intramuraria.
Gli operatori di Polizia Penitenziaria riescono, attraverso la continuità dell’osservazione, ad acquisire preziosi elementi conoscitivi sulla utenza penitenziaria che debbono essere veicolate agli altri operatori dell’osservazione e trattamento, al di là di ogni barriera in atto discendente dalla diversa appartenenza di tali operatori.
E’ di una organizzazione di apprendimento continuo e circolare, tra gli attuali appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria ed i Funzionari dell’Area Trattamentale, di cui necessita il sistema di esecuzione penale intramuraria.
E’ di palmare evidenza che la conoscenza, in ogni organizzazione, assicura il migliore perseguimento dei fini dell’organizzazione stessa. A fortiori essa assicura il conseguimento dei fini istituzionali in una organizzazione, come quella dell’Amministrazione penitenziaria in cui, il processo strumentale per il conseguimento del fine è costituito dalla osservazione della personalità dell’utenza, e quindi un processo basato appunto sulla conoscenza dell’utenza stessa.
Inoltre gli eventi perturbativi nei processi di lavoro potranno meglio essere gestiti e costituiranno comunque occasione di un processo di apprendimento la cui esperienza sarà veicolata senza remore, con l’apporto di chiavi interpretative diverse da un profilo professionale all’altro.
Processi di apprendimento e disapprendimento reciproci contribuiranno ad una rivisitazione del punto di vista precedente e consentiranno di addivenire ad un equilibrato punto di vista organizzativo frutto di un processo dialogico effettivo.
Sarà in tal modo favorita la possibilità di mettere in discussione pratiche organizzative prima considerate “punti fermi”.
A quanto sopra espresso vanno soggiunte le sacrosante aspettative giuridiche ed economiche connesse allo svolgimento di un ruolo particolarmente complesso, usurante e di particolare responsabilità sociale, qual è quello dei Funzionari Giuridico-Pedagogici, che sono supportate anche dalla Regola n. 79 della Raccomandazione R (2006)2 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (Regole Penitenziarie Europee).
Questa Associazione non potrà arrendersi di fronte ad una situazione di indifferenza rispetto alle questioni sollevate, indifferenza che caratterizza, lo rileviamo con significativo rammarico, alcuni portatori di interesse che hanno espresso non motivate contrarietà ma solo ostili “dichiarazioni manifesto” ed inveterati slogans contrari rispetto alla proposta suindicata.
Slogans come “no all’educatore in divisa” ovvero “no all’educatore con la pistola” sono solo banali strumentalizzazioni. Non miriamo ad indossare una uniforme da poliziotti e non auspichiamo in dotazioni di armamento di alcun tipo.
Sarebbe opportuno piuttosto suggerire interventi emendativi del suindicato del ddl al fine di renderlo maggiormente rispondente alle esigenze da loro manifestate.
Questa Associazione manifesta nondimeno disponibilità per soluzioni alternative, purché si tratti di soluzioni migliorative che investono il sistema osservazione e trattamento e tutti gli appartenenti al ruolo dei funzionari della professionalità giuridico-pedagogica. Si sottolinea in particolare la necessità di riconoscere un apposito status a tutti i funzionari che attendono alle attività di osservazione e trattamento e che a tal fine interagiscono con gli appartenenti alla Polizia penitenziaria ed in particolare alla carriera dei funzionari del Corpo.
Auspichiamo pertanto in una pronta assunzione di responsabilità da parte della Politica finalizzata alla cura di un interesse fondamentale dello Stato, vale a dire il recupero sociale del reo.
Ci attendiamo pertanto una ripresa dei lavori riguardanti il ddl n. 1754 S da parte della Commissione Giustizia al Senato.