1 ottobre 2019 ore: 14:50
GIUSTIZIA
Sicilia, gli educatori del carcere in stato di agitazione
L’Associazione nazionale funzionari del trattamento: “Vogliamo riconosciuto il nostro ruolo tecnico nel quadro di una maggiore umanizzazione della pena”
PALERMO – L’Associazione nazionale dei funzionari del trattamento (Anft) ha deciso e comunicato al premier Giuseppe Conte e ai vertici istituzionali lo stato di agitazione. Ormai da diversi mesi, fa sapere in una nota, è in corso un fitto dialogo tra l’Anft e i vertici politici e di alta amministrazione del Dap per valutare la necessità di istituire all’interno dell’organico del Corpo di Polizia Penitenziaria, un ruolo tecnico che comprenda i funzionari del trattamento (Fgp). Recentemente, proprio nell’ambito del Tavolo sul Riordino delle carriere delle Forze di Polizia, l’Amministrazione Penitenziaria, ha proposto e ribadito tale necessità, consapevole del valore aggiunto che i Funzionari del Trattamento potrebbero apportare al lavoro del Corpo di Polizia Penitenziaria, proprio per la specificità del loro ruolo.
“Tuttavia, senza che sia stata resa nota alcuna motivazione o proposta soluzione alternativa – riporta la nota dell’Anft -, le altre componenti del tavolo, hanno ritenuto di non accogliere tale proposta, con grave pregiudizio per chi si trova quotidianamente in prima linea all’interno degli istituti penitenziari e per la funzionalità dell’esecuzione penale intramuraria. L’Anft intende precisare a questo proposito che un accoglimento di quanto proposto, oltre a rispondere ad un interesse dello Stato comporterebbe un adeguato riconoscimento giuridico ed economico del ruolo dei Funzionari Giuridico Pedagogici, che con la loro specificità rappresentano ad oggi il perno attorno cui ruota tutta l’esecuzione penale intramuraria, proprio per i compiti loro assegnati rispetto alle funzioni della pena ed in particolare di quella rieducativa, così come all’articolo 27 del nostro dettato Costituzionale”.
“In questo momento ci sentiamo schiacciati nell’esercizio della nostra professione – sottolinea l’associazione nazionale – da tutte le altre categorie che operano in tema di sicurezza. Il riconoscimento del nostro ruolo, sarebbe un modo concreto di fare meglio il nostro lavoro nella prospettiva di una maggiore umanizzazione della pena. Inoltre si creerebbero maggiori sinergie con le altre forze per il percorso rieducativo del detenuto. Purtroppo, attualmente, sicurezza e trattamento non camminano in maniera armonica nell’interesse primario del detenuto ma tendono invece a contrapporsi. Una determinata attività trattamentale a favore di un detenuto tende a saltare se ci sono motivi di sicurezza su cui non ci si può confrontare. Un senso di comune appartenenza dentro l’istituzione carceraria, invece, tra forze dell’ordine ed educatori, nel rispetto e nella valorizzazione dei diversi ruoli, ci farebbe operare sicuramente meglio”.
“Considerando tuttavia che nonostante le numerose richieste di audizione dell’Anft presso l’organo tecnico interforze quest’ultimo non ha mai ritenuto ad oggi di accogliere tali richieste, né tanto meno di portare avanti un confronto in merito, questa associazione proclama lo stato di agitazione della categoria riservandosi di giungere all’adozione delle diverse possibili e legittime forme di protesta previste, ivi compreso lo sciopero di categoria”.
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(Serena Termini)
Carcere, gli educatori: “Minore approccio securitario e migliorare il servizio trattamentale”
Palermo, in una lettera pubblica invitano le istituzioni a rimettere al centro la persona reclusa in una chiave educativa di pieno recupero sociale accogliendo le istanze che provengono dagli educatori nel loro delicato ruolo di accompagnatori
15 ottobre 2018 – 13:04
PALERMO – Il percorso educativo del detenuto dovrebbe partire da un minore approccio organizzativo di tipo securitario che porti ad una maggiore valorizzazione della figura dell’educatore. E’ il pensiero espresso dall’associazione nazionale A.N.F.T. (Associazione Nazionale Funzionari del Trattamento) che in una lettera pubblica invita le istituzioni a rimettere al centro la persona reclusa in una chiave educativa di pieno recupero sociale accogliendo le istanze che provengono dagli educatori nel loro delicato ruolo di accompagnatori.
“La pressione popolare, in qualche modo alimentata dai media, finisce con il creare le premesse per l’adozione di politiche eccessivamente securitarie le quali andrebbero riservate, invece, solo a chi ha scelto di percorrere una carriera criminale ad alto ‘allarme sociale’… Ma la maggior parte delle persone presenti nelle carceri – scrive nella lettera il presidente, Stefano Graffagnino – sono soggetti spesso carenti di risorse strutturali che hanno vissuto ai margini ed hanno sofferto l’esclusione sociale, la povertà, l’abbandono e che per tali condizionamenti non hanno instaurato una normale vita di relazione e, quindi, hanno violato le regole sociali e commesso dei reati”.
Da qui la funzione dell’educatore penitenziario che, dal 2010 è stato ribattezzato funzionario giuridico-pedagogico.
“Chi di noi, accompagnando un proprio caro in ospedale, accetterebbe un suo ritorno a casa più malato di prima? Nessuno, seppure intellettualmente poco dotato, chiederebbe a un nosocomio di evitare di curare i malati rimandandoli indietro malridotti o in condizioni peggiori rispetto a quando sono entrati. Sarebbe una cosa assai singolare, quando non paradossale, se si facesse il tifo per la malattia e non per il medico. …in ambito penitenziario si riscontrano invece tendenze singolari – continua la lettera -. La chiave nel carcere va conservata, custodita, non buttata. La persona non può aggravarsi o cronicizzarsi, va ‘curata’ durante il periodo di espiazione della pena e dev’essere messa in condizione di cambiare vita, di capire il proprio sbaglio, di ripensare al proprio passato, di meditare sul male causato a se stesso e ad altri, ed a volte – nella concezione più avanzata dell’espiazione della pena – di incontrare le vittime dei propri atti in un articolato e complesso, quanto fruttuoso, percorso di mediazione”.
“Al fine di evitare fuorvianti equivoci, corre l’obbligo di precisare che è pur sempre necessaria un’autentica e non strumentale disponibilità del soggetto in carcere ad usufruire degli interventi del trattamento – continua Stefano Graffagnino -. Diversamente tradiremmo lo spirito e le norme penitenziarie e finiremmo addirittura per sottrarre preziose risorse istituzionali da destinare ai soggetti davvero meritevoli”.
“Nell’arco della durata della pena detentiva, l’educatore deve conoscere le persone che entrano in carcere, prendere le misure del loro disagio, creare le condizioni affinché siano individuate le lacune che hanno accumulato nel loro percorso di vita precedente, favorire i rapporti con la famiglia, migliorare la loro condizione culturale, professionale – continua la nota -, lavorativa, sensibilizzarle in merito alle sofferenze causate agli altri, ripristinare– ed a volte acquisire ex novo – una scala di valori, ascoltarli e supportarli soprattutto nei momenti di sconforto. Questa figura è il perno centrale dell’équipe di operatori penitenziari che illustra alla Magistratura di Sorveglianza gli esiti del percorso trattamentale effettuato dal soggetto ai fini della valutazione, da parte della Magistratura stessa, della concessione dei vari benefici penitenziari e, quindi, dell’eventuale restituzione anticipata dei ristretti nella società”.
L’associazione ribadisce il bisogno forte di avere quella giusta visibilità di ruolo che faccia comprendere tutto l’impegno che c’è dietro l’assistenza alle persone recluse in carcere alla luce pure dei significativi rischi personali e della grande responsabilità sociale. “Il funzionario giuridico pedagogico, al pari delle forze di polizia, esercita una tutela della sicurezza – continua ancora Graffagnino -. In maniera indiretta, infatti, cerca di garantire il miglioramento della società restituendole soggetti in grado di vivere senza più delinquere. Anche questa è sicurezza e prevenzione del crimine. Il prodotto di tanto lavoro è senza alcun dubbio prezioso per la tenuta del patto sociale. E allora, forse, è meglio non buttarla via, ‘sta chiave…’ perché prima o poi il reo dovrà uscire, camminare con gambe proprie, vivere di lavoro onesto, formare famiglia ed avere dei figli che siano fieri del proprio genitore e non, invece, essere ancora contrapposto ad una società che non gli ha dato le stesse possibilità di partenza di molti altri”. (Serena Termini)
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Minacciati e aggrediti gli educatori penitenziari chiedono tutela al governo
Dal quotidiano “La Sicilia” del 25 Giugno 2018
Riforma, educatori del carcere chiedono che sia riconosciuto il ruolo tecnico
L’A.N.F.T. chiede l’istituzione di un ruolo tecnico che superi la dicotomia con gli operatori di polizia penitenziaria per il bene dei detenuti da reinserire in società
19 marzo 2018 – 15:59
PALERMO – Essere messi in condizione di fare bene il ruolo delicato e complesso di educatori dentro il carcere a partire dal riconoscimento di uno status professionale diverso che eliminerebbe la dicotomia con gli operatori di polizia penitenziaria. E’ quello che chiede l’Associazione nazionale funzionari del trattamento, nata lo scorso 5 dicembre, di cui fanno parte per il momento 252 funzionari. Gli educatori, in particolare,
sono critici nei confronti della riforma dell’ordinamento penitenziario che non ha tenuto conto delle loro proposte depositate presso la commissione giustizia della Camera de Deputati, ma in più prevede un sovraccarico del loro lavoro anche in termini di responsabilità che non permette di contribuire nel migliore dei modi al percorso rieducativo dei detenuti. Se le loro richieste non verranno prese in considerazione saranno pronti a mettere in atto altri strumenti di protesta pubblica.
“Riempie di stupore apprendere che il principio ispiratore della riforma sia la restituzione di effettività alla funzione rieducativa della pena e non si tenga conto delle osservazioni degli addetti ai lavori chiamati al difficile compito della rieducazione dei soggetti che hanno violato il patto sociale – scrive l’associazione l’Anft in un documento sottoscritto dal presidente Stefano Graffagnino -. Disorienta ancor di più il dichiarato intendimento politico di rendere effettiva la funzione rieducativa della pena non supportato in alcun modo da un processo di potenziamento delle risorse del personale. Non si registrano infatti azioni dirette a conferire agli operatori del trattamento strumenti che mirino ad accrescere l’effettività della funzione rieducativa della pena. Anzi, proprio a carico del funzionario giuridico-pedagogico, perno centrale delle attività di osservazione e trattamento, si sono verificate le ricadute più gravose degli interventi politici ed amministrativi sull’esecuzione penale intramuraria degli ultimi anni”.
In particolare l’associazione punta il dito su alcuni aspetti specifici che appesantirebbero ulteriormente il loro ruolo professionale all’interno del carcere. “Quale organismo rappresentativo ha il dovere di ribadire che la riforma proposta dall’esecutivo uscente determinerebbe, a causa della dilatazione dei carichi di lavoro – derivanti dall’abbattimento delle preclusioni di cui all’art. 4 bis O.P. -, una notevole dispersione di energie lavorative ad ulteriore danno dei percorsi trattamentali meritevoli di attenta verifica in ordine ai progressi necessari per la riammissione alla società libera. Ciò vale soprattutto per i condannati in condizione di svantaggio sociale che utilizzano la carcerazione come occasione di riflessione e che hanno i requisiti di merito per ottenere la concessione di una misura alternativa”.
“Questa associazione ha prospettato pertanto presso la commissione giustizia della Camera dei Deputati – scrive ancora – gli interventi necessari per conferire maggiore effettività alla funzione rieducativa della pena e al suo processo di umanizzazione. Convinti che l’ordinamento penitenziario attuale rappresenti uno straordinario strumento normativo, peraltro mutuato da diversi sistemi penitenziari di altri Stati, gli educatori ritengono che, per la sua piena applicazione, occorrano invece, oltre all’impiego di maggiori risorse nel sistema penitenziario, interventi che incidono sull’assetto organizzativo del personale penitenziario, eliminando l’attuale dicotomia tra operatori di polizia penitenziaria e funzionari giuridico-pedagogici”. “Si chiede quindi di creare un apposito status per i funzionari giuridico-pedagogici, un apposito ruolo tecnico che agevolerebbe un processo di osmosi culturale-professionale e la maturazione di un senso di comune appartenenza tra i diversi operatori penitenziari che avrebbero di certo positive ricadute anche sul versante del processo di umanizzazione della pena. Tale ruolo tecnico farebbe salva l’autonomia professionale degli educatori, i quali sarebbero posti al di fuori dall’ordine gerarchico generale del corpo di polizia penitenziaria”.
“Considerato che quanto già espresso – conclude infine l’associazione degli educatori – non ha prodotto gli effetti sperati, l’associazione valuterà, dopo attento monitoraggio degli sviluppi della situazione attuale, l’adozione di strumenti legittimi di protesta compreso lo sciopero di categoria”. (Serena Termini)
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Riforma dell’ordinamento penitenziario: l’ANFT giudica incongrua la proposta governativa
L’Agenzia giornalistica “Redattore Sociale” intervista il vicepresidente dell’ANFT
Il Fatto Quotidiano del 23.02.2018
La A.N.F.T. chiede chiarimenti al Garante dei Diritti dei Detenuti
La ANFT interviene sulla Riforma dell’Ordinamento Penitenziario
Riforma dell’ordinamento penitenziario: le osservazioni e le criticità evidenziate dall’A.N.F.T.
Nasce l’associazione nazionale degli educatori nelle carceri: primo incontro a Caltanissetta
Nasce l’ANFT Associazione Nazionale Funzionari del Trattamento nelle carceri